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I bambini raccontati da Beruti



Un messaggio universale artistico-intimista:


🌿 More than Kids — Valerio Berruti a Palazzo Reale, Milano

Una mostra che parla dell’infanzia come spazio universale dell’anima

A Palazzo Reale, Valerio Berruti apre una porta sulla soglia più pura della nostra memoria: l’infanzia come tempo sospeso, come luogo dove tutto può ancora accadere. Nelle sue figure – essenziali, senza tempo, tracciate con la delicatezza di un respiro – si specchiano le nostre origini emotive, i frammenti più silenziosi di ciò che siamo stati e che, forse, continuiamo a essere.


Il percorso, curato da Nicolas Ballario, è concepito come un viaggio nella poetica di Berruti: tra affreschi, sculture monumentali e installazioni che si muovono al confine tra sogno e memoria.
La celebre “Giostra di Nina”, musicata da Ludovico Einaudi, accoglie i visitatori come un rito iniziatico: un invito a risalire nel tempo, a tornare bambini per un istante, per ritrovare stupore e possibilità.
Nel cortile, invece, la scultura “Don’t let me be wrong”, accompagnata dal suono profondo di Daddy G dei Massive Attack, amplifica la tensione tra leggerezza e gravità, tra l’innocenza e la consapevolezza del crescere.


Ogni opera di Berruti parla con la lingua delle cose semplici, ma dice ciò che è immensamente complesso: che l’infanzia non finisce mai, che resta dentro di noi come un archivio luminoso.
Il sottotitolo “More than kids” suggerisce proprio questo: i “bambini” dell’artista non rappresentano solo l’età tenera, ma un simbolo collettivo di appartenenza, un richiamo a quella parte di noi che non ha ancora rinunciato a credere, a sognare, a cambiare.


Di Comitato Redazionale 


Chiosa di EF:

🌹 More than Kids — Valerio Berruti
L’infanzia come sacrificio e redenzione collettiva

Nelle sale di Palazzo Reale, le figure di Valerio Berruti non sono solo bambini: sono discepoli, anime in formazione, sospese nel silenzio dell’ascolto, in quell’età fragile in cui si impara a essere parte del mondo. I loro corpi, essenziali e immobili, si stagliano su sfondi talvolta sanguigni, velature di rosso che non evocano violenza, ma la potenza dell’energia vitale spesa nel crescere, nell’imparare, nel sostenere e nel trasmettere.

Quelle gocce di colore ricordano il sacrificio invisibile che attraversa ogni percorso educativo: la fatica del discepolo, l’impegno dell’insegnante, il costo affettivo e materiale dei genitori che, con amore e rinuncia, sostengono la crescita dei propri figli. È una liturgia laica dell’apprendimento, dove la vita si consuma e si rinnova nel continuo scambio di sapere e di cura, fino all’età adulta, quando i ruoli si intrecciano e ognuno diventa, a sua volta, maestro e custode di altri.

Le ombre che accompagnano i piccoli allievi, allineati nei loro banchi immaginari, non sono presenze minacciose, ma la proiezione della loro stessa esistenza nel mondo, il segno della realtà che li attende fuori dall’aula. Eppure, per chi osserva con la memoria ferita — per chi non ha potuto vivere pienamente la propria infanzia, sottratto troppo presto alla leggerezza e alla condivisione — quelle ombre diventano un richiamo struggente. È impossibile non commuoversi: si esce con le lacrime agli occhi, non solo per nostalgia, ma per la consapevolezza che l’infanzia negata non si cancella — si trasforma, restando dentro come desiderio di protezione e di giustizia.

Berruti ci ricorda che “More than Kids” non è solo una mostra: è un atto d’amore verso tutte le infanzie, vissute, mancate o ancora da riscattare.

#DonErman

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